Info utili.

calendario vaccinale regionale e nazionale

(Fonte MdS)

malattie infettive

Colera

Descrizione. Il colera è un’infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae: si tratta di una malattia infettiva caratterizzata da diarrea acquosa profusa che può causare nell’arco di poche ore una grave disidratazione. Se non è trattata, è letale in oltre il 50% dei casi. Nel diciannovesimo secolo il colera si è diffuso più volte dalla sua area originaria attorno al delta del Gange verso il resto del mondo, dando origine a sei pandemie. La settima pandemia è ancora in corso: è iniziata nel 1961 in Asia meridionale, raggiungendo poi l’Africa nel 1971 e l’America nel 1991. Il colera è endemico in circa 50 Paesi, in particolare in Africa e nel sud e sud-est Asiatico. In Italia, l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973 in Campania e Puglia. Nel 1994 si è verificata a Bari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati meno di 10 casi. Da allora, l’unico episodio descritto risale all’agosto del 2008 in un soggetto di sesso maschile rientrato da un viaggio all’Estero (Egitto). I sierogruppi di Vibrio cholerae causa di epidemie sono essenzialmente due: il Vibrio cholerae 01 e il Vibrio cholerae 0139, di cui il primo più diffuso. La principale riserva di questi patogeni sono rappresentati dall’uomo e dalle acque, soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari, spesso ricchi di alghe e plancton.

Trasmissione. ll colera è una malattia a trasmissione oro-fecale che può essere contratta in seguito all’ingestione di acqua o alimenti contaminati da materiale fecale di individui infetti (malati o portatori sani o convalescenti). I cibi più a rischio per la trasmissione della malattia sono quelli crudi o poco cotti e, in particolare, i frutti di mare e verdura. Anche altri alimenti possono comunque fungere da veicolo. Le scarse condizioni igienico-sanitarie di alcuni Paesi e la cattiva gestione degli impianti fognari e dell’acqua potabile sono le principali cause di epidemie di colera. Il batterio può vivere anche in ambienti naturali, come i fiumi salmastri e le zone costiere: per questo il rischio di contrarre l’infezione per l’ingestione di molluschi è elevato. Il periodo di incubazione del colera va da poche ore a 5 giorni, ma abitualmente è di 2-3 giorni. La contagiosità è legata alla presenza di V. cholerae nelle feci; abitualmente il periodo di contagiosità si protrae per alcuni giorni dopo la guarigione clinica ma, talvolta, può instaurarsi uno stato di portatore cronico, con eliminazione dei germi da qualche settimana a qualche mese.

Sintomi e complicanze. Il colera si manifesta, dopo una breve incubazione di 2-3 gg, con molte scariche di diarrea acquosa, vomito, rapida disidratazione, abbassamento della temperatura (ipotermia). Nel caso insorgessero sintomi sospetti è necessario rivolgersi immediatamente a un medico. La perdita di grandi quantità di liquidi con il vomito e la diarrea può infatti provocare stato di shock e, se non opportunamente curata, la morte.

Trattamento e prevenzione. Una reidratazione rapida e appropriata è il principale intervento per il trattamento di casi di colera, per via orale per casi moderati di malattia, o per via endovenosa per i casi gravi. Antibiotici appropriati possono: ridurre il volume della diarrea, ridurre il volume dei fluidi di reidratazione necessari, ridurre la durata di escrezione del V. Cholerae. L’attuale raccomandazione dell’OMS è quella di somministrare gli antibiotici solo ai casi di colera con grave disidratazione. I bambini sotto i 12 anni dovrebbero ricevere eritromicina (12,5 mg/kg – 4 volte al giorno) per 3 giorni. Ai bambini sotto i 5 anni di età dovrebbe essere anche somministrato zinco per 10 giorni (10 mg al giorno sotto i 6 mesi di età, 20 mg al giorno oltre i 6 mesi). Per i più grandi e adulti, si consiglia tetraciclina (12,5 mg/kg – 4 volte al giorno) per 3 giorni o una singola dose di doxiciclina (300 mg).I pazienti affetti da colera dovrebbero essere ricoverati in ospedale, in cui sia possibile l’isolamento enterico fino alla negatività di 3 coprocolture, eseguite a giorni alterni, dopo la guarigione clinica, di cui la prima eseguita almeno 3 giorni dopo la sospensione della terapia antibatterica. L’approccio prescelto per la lotta al colera è spesso multisettoriale e coinvolge la gestione dell’acqua, la sanità pubblica, la pesca, l’agricoltura e l’educazione alla salute. Tuttavia, gli interventi più importanti per la prevenzione delle epidemie di colera riguardano la depurazione dell’acqua e il funzionamento del sistema fognario. L’OMS raccomanda la vaccinazione contro colera in combinazione con altre strategie di prevenzione e controllo in aree endemiche e a rischio di epidemie. La vaccinazione contro il colera è raccomandata per i viaggiatori a rischio: lavoratori o operatori sanitari che si recano in zone colpite da disastri in aree endemiche e in zone di epidemia.

Difterite

Descrizione. La difterite è una malattia infettiva acuta, potenzialmente fatale, a notifica obbligatoria, causata da ceppi appartenenti alla specie Corynebacterium diphtheriae produttori di tossina. La tossina difterica, oltre a indurre necrosi tessutale locale, può diffondere attraverso il circolo sanguigno e raggiungere organi vitali causando gravi complicanze. Nella forma più classica e grave, la difterite si presenta come malattia respiratoria che si manifesta a livello delle vie aeree superiori (naso, faringe, laringe, trachea), caratterizzata dalla formazione di pseudomembrane che, aderendo alle mucose, ostruiscono il passaggio di aria e causano la morte del paziente per soffocamento. Esiste inoltre una forma di difterite cutanea, maggiormente diffusa nelle aree tropicali in soggetti indigenti, che si manifesta con la formazione di lesioni cutanee che tendono ad ulcerarsi. Oltre a C. diphtheriae, altre due specie possono produrre la tossina difterica e sono Corynebacterium ulcerans e Corynebacterium pseudotuberculosis, entrambe rilevanti in ambito veterinario. La difterite è ancora una malattia endemica in alcune aree del mondo, quali il Sud-Est Asiatico, diffusa soprattutto in India, Indonesia, Filippine, Malesia (dove sono state registrate anche epidemie), Nepal, Africa e Brasile, e i soggetti non vaccinati sono ad alto rischio di contrarre la malattia, in particolare se di età pediatrica. Anche in Europa, principalmente in alcuni paesi dell’Est (es. Lettonia), ma anche in UK, Francia, Germania e Italia, ogni anno, sono segnalati casi sporadici di difterite.

Trasmissione. La difterite si trasmette per contatto diretto con una persona infetta o, più raramente, con oggetti contaminati da secrezioni delle lesioni di un paziente. In passato, anche il latte non pastorizzato ha rappresentato un veicolo di infezione.

Sintomi e complicanze. Il periodo di incubazione dura da 2 a 5 giorni, ma occasionalmente può arrivare a 10 giorni. Quando l’infezione riguarda l’orofaringe, i primi sintomi sono mal di gola, perdita dell’appetito e febbre leggera. Entro 2-3 giorni, sulla superficie delle tonsille e della gola si forma una caratteristica membrana grigiastra, dai margini infiammati. Talvolta queste lesioni possono sanguinare e assumere un colore verdastro o nero. Altri sintomi associati all’infezione possono essere gonfiore del collo con ingrossamento dei linfonodi e ostruzione delle vie respiratorie. Generalmente la malattia ha un decorso benigno, ma in alcuni casi possono insorgere complicanze gravi a livello cardiaco: aritmie, con rischio di arresto cardiaco, miocardite, insufficienza cardiaca progressiva.

Trattamento e prevenzione. Gli individui che sviluppano la malattia vanno trattati immediatamente con l’antitossina e antibiotici (eritromicina o penicillina), quindi messi in isolamento per evitare che contagino altre persone. In genere, già dopo due giorni di terapia non sono più contagiosi. La strategia più efficace contro la difterite resta la vaccinazione preventiva. Disponibile fin dal 1920, il vaccino antidifterico contiene la tossina batterica, trattata in modo da non essere più tossica per l’organismo, ma comunque in grado di stimolare la produzione di anticorpi protettivi da parte del sistema immunitario. Solitamente, il vaccino antidifterico viene somministrato in combinazione con quello contro il tetano e contro la pertosse (DTP). Inoltre, oggi si tende a vaccinare i nuovi nati con il vaccino esavalente, che protegge anche contro la poliomielite, l’epatite virale B e le infezioni invasive da Haemophilus influenzae B. Il ciclo di base del vaccino è costituito da tre dosi, da praticare al terzo, quinto e dodicesimo mese di vita del bambino. Successivamente vengono eseguite due dosi di richiamo, all’età di 6 e 14 anni. Per conservare una buona immunità, si possono fare ulteriori richiami ogni dieci anni.

Encefalite da morso da zecca TBE

Descrizione. L’encefalite da morso di zecca (o meningoencefalite da zecca o Tick-Borne Encephalitis, TBE) è una malattia virale acuta del sistema nervoso centrale. causata da un arborvirus appartenente al genere Flavivirus, molto simile ai virus responsabili della febbre gialla e della dengue. L’encefalite da morso di zecca è stata identificata per la prima volta  in Italia nel 1994 in provincia di Belluno. Dal punto di vista epidemiologico, oggi la Tbe è presente in focolai endemici in molti Paesi dell’Europa centro orientale e settentrionale, Italia compresa. In particolare nel nostro Paese dal 1994 al 1999 sono stati identificati 35 casi di malattia in provincia di Belluno.

Trasmissione. La trasmissione verso gli esseri umani avviene principalmente tramite il morso di zecche infettate ma anche col consumo di latticini infettati. La distribuzione e l’incidenza stagionale della TBE rispecchiano la biologia della zecca (massima attività in primavera-estate). Sia larve, che ninfe, che adulti delle zecche possono trasmettere l’infezione. La zecca con la saliva anestetizza la sede del morso che quindi può passare inosservato. Il passaggio interumano, pur non documentato, non è escludibile (esempio con le trasfusioni).

Sintomi e complicanze. La malattia può interessare sia gli adulti che i bambini dopo un’incubazione di 4-28 gg (in media 8 gg dal morso). Nel 70% dei casi l’infezione è asintomatica o comunque caratterizzata da sintomi poco rilevanti; nel 30% dei casi invece si ha una prima fase caratterizzata da sintomi similinfluenzali, in seguito i sintomi regrediscono senza conseguenze. Tuttavia nel 10-20% di questi casi, dopo 8-20 giorni  si attiva una seconda fase che vede l’interessamento del sistema nervoso centrale (encefalite, paralisi flaccida). Nei bambini e nei soggetti più giovani la Tbe mostra generalmente un decorso più mite, con progressivo aumento della severità al progredire dell’età.

Trattamento e prevenzione. Non esiste una terapia specifica. Il trattamento è pertanto sintomatico e di sostegno. L’ospedalizzazione è necessaria in caso di meningite, encefalite o meningoencefalite. I farmaci antinfiammatori, come i corticosteroidi possono essere utilizzati dal personale medico in specifiche circostanze per alleviare i sintomi. Può inoltre essere necessaria l’intubazione e la ventilazione forzata. Il vaccino contro la Tbe, da tempo in uso in molti Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, è stato recentemente registrato anche in Italia con procedura di mutuo riconoscimento comunitario. Il vaccino è entrato in commercio nel nostro Paese all’inizio del 2006.
Il ciclo vaccinale di base prevede la somministrazione di tre dosi (all’età di 0, 1-3 mesi, 9-12 mesi) con richiami a cadenza triennale, per via intramuscolare, preferibilmente nella regione deltoidea. Esiste anche la possibilità di seguire un ciclo accelerato di vaccinazione, che però non garantisce gli stessi risultati del ciclo classico, in termini di risposta anticorpale.

Encefalite giapponese

Descrizione. L’encefalite virale è causata da un virus del genere flavivirus, cui appartengono anche i virus responsabili della dengue, della febbre gialla e della malattia di West Nile. Il virus ha un ciclo di trasmissione che coinvolge zanzare, suini e/o uccelli acquatici. Gli esseri umani vengono infettati dalla puntura di una zanzara infetta (Culex spp) e sono ospiti a fondo cieco, in quanto non contribuiscono all’ulteriore diffusione dell’infezione. La malattia si manifesta soprattutto in aree rurali coltivate a risaie e in ambienti periurbani. Costituisce la principale causa di encefalite virale in Asia: nelle aree temperate ha un andamento stagionale, con picchi d’infezione nei mesi estivi e autunnali, mentre nelle aree tropicali e subtropicali si manifesta tutto l’anno, principalmente nella stagione delle piogge. Il primo caso di encefalite giapponese è stato documentato in Giappone nel 1871. L’encefalite giapponese colpisce prevalentemente i bambini. La maggior parte degli adulti nei paesi endemici hanno sviluppato un’immunità naturale dopo aver contratto l’infezione da bambini, tuttavia possono essere colpite persone di ogni età.

Trasmissione. Il virus dell’EG viene trasmesso alle persone attraverso la puntura di zanzare infette della specie Culex (soprattutto Culex tritaeniorhynchus). L’essere umano, una volta infettato, non presenta una viremia sufficiente ad infettare le zanzare. Il virus è presente nel ciclo di trasmissione tra zanzare, suini e/o uccelli acquatici (ciclo enzootico). La malattia si manifesta soprattutto negli ambienti rurali e periurbani, dove gli individui vivono a contatto con questi ospiti vertebrati.

Sintomi e complicanze. Nelle forme sintomatiche, il periodo di incubazione varia generalmente fra 5 e 15 giorni. La maggior parte delle infezioni da virus dell’EG sono lievi (febbre e mal di testa) o senza sintomi apparenti, ma circa 1 su 250 infezioni si manifesta in forma grave caratterizzata da rapida insorgenza di febbre alta, mal di testa, rigidità del collo, disorientamento, coma, convulsioni (frequenti soprattutto nei bambini), paralisi spastica e morte. Il tasso di letalità può arrivare fino al 30% tra le forme con presenza di sintomatologia. Il 20-30% di coloro che sopravvivono presentano sequele neuropsichiatriche permanenti, quali paralisi, convulsioni ricorrenti o incapacità di parlare. Nelle zone dove il virus dell’EG è comune, l’encefalite si verifica principalmente nei bambini perché gli adulti hanno contratto l’infezione nel corso della loro vita e sono immuni.

Trattamento e prevenzione. Non esiste un trattamento antivirale per i pazienti con EG. Generalmente è necessario il ricovero ospedaliero. Il trattamento è di supporto per alleviare la sintomatologia e per stabilizzare il paziente. I vaccini per prevenire la malattia sono sicuri ed efficaci. In Italia è disponibile un vaccino inattivato a base di cellule derivate dal rene di scimmia verde africana (VERO) per l’immunizzazione attiva contro l’encefalite giapponese in adulti, adolescenti, bambini e neonati a partire da 2 mesi di età. Il suo utilizzo è consigliato nelle persone a rischio di esposizione in previsione di un viaggio o a causa del loro lavoro.

Epatite A

Descrizione. L’epatite virale A è una malattia infettiva acuta causata da un virus a RNA appartenente al genere Heparnavirus della famiglia dei Picornaviridae, che aggredisce le cellule del fegato. L’infezione si manifesta sempre in forma acuta, talvolta in forma grave fulminante, potenzialmente letale. In Italia la malattia è endemica soprattutto nelle Regioni meridionali, dove più diffusa è la pratica di consumare frutti di mare crudi. Possono comunque verificarsi epidemie o casi sporadici su tutto il territorio nazionale, legati al consumo di alimenti (non solo frutti di mare ma anche vegetali e frutta) o acqua (per es. di pozzo) contaminati, viaggi in aree endemiche, scarse condizioni igieniche, comportamenti a rischio.

Trasmissione. Il virus si trasmette per via oro-fecale, generalmente mediante l’ingestione di acqua o cibi contaminati (ad esempio insalate, frutta non sbucciata, frutti di mare, cubetti di ghiaccio). L’epatite A è ancora frequente soprattutto nei Paesi dove sussiste un basso livello igienico sanitario (Asia – Turchia compresa, Africa – tutto il continente, America centrale e del sud, Europa dell’est). La scarsa igiene personale e il sovraffollamento agevolano la diffusione del virus. Il virus è eliminato con le feci sia prima che dopo la comparsa dei sintomi. I bambini hanno una più lunga capacità di diffondere il virus che può arrivare anche a 10 settimane dalla comparsa dei sintomi (i lattanti possono arrivare ad oltre 6 mesi). Questa spiccata capacità diffusiva, unita al fatto che nel bambino l’infezione è solitamente asintomatica, rende i bambini una sorgente importante di infezione.

Sintomi e complicanze. La malattia ha un periodo di incubazione che va da 15 a 50 giorni e un decorso, generalmente, autolimitante e benigno. Frequenti sono le forme asintomatiche, soprattutto nel corso di epidemie e nei bambini. La malattia è caratterizzata da sintomi quali ittero, febbre moderata, inappetenza, nausea, vomito, fatica, malessere, dolori articolari o muscolari, cefalea, fotofobia (fastidio nel vedere la luce), tosse, faringite. Nei bambini la malattia è solitamente asintomatica mentre 8 adulti su 10 sviluppano ittero. Talvolta la patologia si manifesta con sintomatologia evidente e decorso protratto; sono state osservate anche forme fulminanti, rapidamente fatali per insufficienza epatica. Un decorso aggravato dell’epatite e il rischio di esito infausto si osserva, generalmente, in soggetti che hanno contrato l’infezione in età adulta (> 50 anni)  o affetti da altre patologie concomitanti. I pazienti guariscono completamente senza mai cronicizzare; pertanto non esiste lo stato di portatore cronico del virus A nè nel sangue nè nelle feci.

Trattamento e prevenzione. Non vi sono farmaci indicati per la terapia dell’epatite A. In generale si consiglia il riposo a casa, una dieta bilanciata, con astensione dall’alcol (che potrebbe causare ulteriori danni al fegato), riduzione del consumo di alimenti troppo grassi a favore di quelli più facilmente digeribili, e assunzione di molti liquidi. La prevenzione dell’epatite A può attuarsi sia attraverso precauzioni igieniche e ambientale che profilassi vaccinale. Si raccomanda, inoltre, ai viaggiatori, diretti verso paesi con scarse condizioni igienico-sanitarie o endemici per epatite A, una volta arrivati nel paese, di mangiare solo cibi cotti, in particolare verdure e frutti di mare, e di bere esclusivamente acqua in bottiglia e non consumare ghiaccio (se non si conosce l’esatta provenienza dell’acqua con cui è stato preparato). La vaccinazione è raccomandata ai residenti in aree in cui l’epatite A è endemica, ai viaggiatori che si recano in aree in cui l’epatite è endemica, ai soggetti a rischio. n Italia, secondo il Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019  è offerta attivamente ai soggetti ad aumentato rischio, fra cui: persone affette da malattie epatiche croniche (in conseguenza della maggiore suscettibilità di tali pazienti per l’insorgenza di forme fulminanti), persone affette da coagulopatie tali da richiedere terapia a lungo termine con derivati di natura ematica, tossicodipendenti, soggetti a rischio per soggiorni in aree particolarmente endemiche, persone che lavorano nei laboratori dove ci può essere contatto con il virus, maschi che fanno sesso con maschi, contatti familiari di soggetti con epatite A in atto.

Epatite B

Descrizione. L’epatite virale B è un’infezione del fegato causata da un virus a DNA appartenente al genere degli Orthohepadnavirus della famiglia degli Hepadnavirused. E’ uno dei virus più infettivi al mondo: si trasmette attraverso l’esposizione a sangue infetto o a fluidi corporei come sperma e liquidi vaginali. Inoltre l’epatite B può essere trasmessa dalla madre infetta al neonato. La malattia provoca un’infezione acuta del fegato, che può evolvere in 4 modi diversi, a seconda delle condizioni immunitarie del paziente:

  1. completa guarigione con acquisizione dell’immunità dall’infezione (circa il 90% dei casi)
  2. epatite fulminante con mortalità del 90%; può richiedere il trapianto di fegato
  3. infezione cronica (5-10% dei casi), ossia persistenza del virus nell’organismo con danno epatico; in questo caso la malattia ha un andamento cronico e può compromettere la funzionalità epatica nel giro di 10-30 anni con l’eventuale insorgenza di cirrosi epatica o di carcinoma epatocellulare primitivo (di solito dopo che è già presente la cirrosi)
  4. stato di portatore inattivo: il virus persiste nel fegato ma non provoca danno epatico; può rimanere in questo stato anche tutta la vita, senza arrecare danni nemmeno a lungo termine. È anche poco contagioso per gli altri.

Trasmissione. Il virus dell’epatite B è molto resistente e si trasmette venendo a contatto con liquidi biologici, quali sangue e suoi derivati, sperma e liquidi vaginali infetti; la trasmissione può avvenire anche da madre infetta al bambino al momento del parto. La persona può contagiarsi con trasfusioni di sangue o emoderivati contaminati dal virus, ma più frequentemente mediante siringhe, aghi, strumenti e apparecchiature sanitarie non adeguatamente sterilizzate (agopuntura, tatuaggi, cure dentarie, manicure ecc.) o anche con uso di spazzolini da denti, rasoi, forbici di soggetti infetti. L’individuo malato è contagioso nella fase acuta, ma se la malattia diventa cronica (portatore cronico di HBV), il virus continua a replicarsi e la persona resta infettiva.

Sintomi e complicanze. L’epatite virale B può decorrere in maniera asintomatica, soprattutto nei bambini. L’incubazione della malattia dura 2-6 mesi dall’infezione. I sintomi caratteristici possono esordire in modo più o meno grave. La malattia si manifesta con la comparsa di inappetenza, malessere generale, dolore muscolare, febbre e nausea. Dopo qualche giorno compare l’ittero, cioè la presenza di colorito giallognolo della pelle, dovuto alla aumentata concentrazione di bilirubina nel sangue a causa della diminuita funzionalità del fegato. Anche le sclere (la parte bianca dell’occhio) possono tendere al colore giallo. Altro segno caratteristico di malattia in atto è il colore delle urine, che si presentano scure come marsala, sempre per la presenza della bilirubina mentre le feci sono chiare. L’infezione da HBV può dare manifestazioni diverse: epatite acuta, epatite fulminante, epatite cronica. In un certo numero di casi il virus continua a replicarsi e a produrre particelle infettanti chiamate “antigeni” (HBsAg, HBeAg), gli anticorpi protettivi non si formano, e in tale situazione il soggetto può trasmettere l’infezione ad altre persone, la sua malattia può cronicizzare ed evolvere verso quadri clinici di grave compromissione epatica. Indicativamente il 5% degli infetti da HBV contrarrà epatite cronica e le caratteristiche di progressione della malattia dipendono dall’età cui si contrae il virus: in età adulta si riscontra nel 90% dei casi infezione acuta senza cronicizzazione, mentre in età neonatale al 90% svilupperà forma cronica, nei bambini tra 1 e 4 anni al 50%. Il 25% di chi ha contratto il virus nell’infanzia morirà a causa delle sue complicanze (cirrosi, insufficienza epatica, neoplasia). L’HBV è responsabile di un aumento del rischio di sviluppo di tumore al fegato (epatocarcinoma) da 12 a 300 volte.

Trattamento e prevenzione. Il trattamento dell’infezione acuta da HBV è in gran parte di supporto e non serve terapia specifica soprattutto per la possibilità che il nostro organismo ha di eliminare spontaneamente il virus. Nei pazienti con epatite B cronica, la cura con i farmaci è finalizzata a migliorare la qualità della vita e la sopravvivenza, prevenendo la progressione della malattia verso la cirrosi, l’insufficienza epatica e il tumore. Per prevenire l’epatite virale B esiste una vaccinazione sicura ed efficace.
Il ciclo vaccinale, come da calendario vaccinale, consiste in tre somministrazioni, al 3°, 5° e 11° mese di vita del bambino. Non sono necessari ulteriori richiami. Se c’è la consapevolezza di essere entrati accidentalmente a contatto con il virus è importante chiamare immediatamente il medico. Un trattamento con immunoglobuline specifiche entro le 24 ore dal contagio, abbinato ad una vaccinazione con successivi richiami, può proteggere il malato dallo sviluppo dell’infezione. Dall’introduzione della vaccinazione in Italia (nel 1991) a oggi i nuovi casi di epatite B si sono ridotti dell’80% nei gruppi di età destinatari dell’intervento vaccinale (0-14 e 15-24 anni).

Febbre gialla

Descrizione. La febbre gialla è provocata da un virus appartenente al genere Flavivirus, cui appartengono anche i virus responsabili della dengue e della encefalite giapponese. La malattia colpisce principalmente gli esseri umani e le scimmie e si trasmette attraverso la puntura di zanzare Aedes. E’ endemica nelle aree tropicali dell’Africa, del Centro e del Sud America. La trasmissione può avvenire ad altitudini fino a 2300 m. nelle Americhe e ad altitudini ancora maggiori in Africa. I paesi o le aree dove il virus della febbre gialla è presente eccedono di gran lunga quelle riportate ufficialmente. Alcuni paesi possono non riportare casi semplicemente perché vi è un alto livello di copertura vaccinale contro la febbre gialla nella popolazione oppure perché la sorveglianza epidemiologica è molto carente. Le epidemie possono essere prevenute e controllate da campagne di vaccinazione di massa.

Trasmissione. Il virus della febbre gialla viene trasmesso all’uomo dalla puntura di zanzare appartenenti al genere Aedes (lo stesso genere di zanzare che trasmette all’uomo la dengue). Le zanzare Aedes, a differenza delle Anopheles (zanzare che trasmettono la malaria), pungono nelle ore diurne. Il periodo di incubazione della febbre gialla, ossia il tempo trascorso tra la puntura infettante e la comparsa dei sintomi clinici può variare da 3 a 6 giorni. La febbre gialla non si trasmette per contagio interumano diretto, ma soltanto attraverso le zanzare infette. Le persone colpite da febbre gialla (sia in forma clinicamente apparente che senza sintomatologia apparente) sono infettanti per le zanzare che li pungono da poco prima della comparsa della febbre per tutta la durata del periodo febbrile (mediamente 5 giorni). Le zanzare diventano a loro volta infettanti a distanza di 9-12 giorni dal pasto di sangue e rimangono tali per tutta la durata della loro vita. Nelle foreste del Sud-America, oltre alle zanzare Aedes, intervengono nella trasmissione della febbre gialla anche altre specie di zanzare silvestri (genere Hemagogus) ma la specie maggiormente coinvolta nella trasmissione della febbre gialla, sia in Africa che in America, è l’Aedes aegypti. I principali cicli della malattia sono quello urbano e quello silvestre. Nel ciclo urbano, gli uomini sono serbatoi del virus e il contagio avviene attraverso la zanzara domestica, l’Aedes aegypti. La zanzara trasmette il virus da soggetti infetti a soggetti suscettibili. Nel ciclo silvestre le zanzare acquisiscono l’infezione dalle scimmie, che fungono da serbatoio del virus. Le zanzare poi pungono e infettano gli uomini, che per qualsiasi ragione si avventurano nelle foreste

Sintomi e complicanze. L’infezione provoca varie forme di malattia, da lieve a grave fino al decesso.
Il “giallo” nel nome si spiega con l’ittero che colpisce occhi e pelle di alcuni pazienti che diventano di colore giallo. I primi sintomi della malattia compaiono solitamente 3-6 giorni dopo l’infezione che può presentare una o due fasi. La prima, fase “acuta”, generalmente ha un inizio improvviso, con febbre accompagnata da brividi, dolori muscolari soprattutto alla schiena, mal di testa, perdita di appetito, nausea e vomito. Nelle fasi iniziali della malattia si verifica un abbassamento del numero dei globuli bianchi del sangue (leucopenia) e sono possibili manifestazioni emorragiche e la comparsa di un colorito giallastro della pelle (ittero).
Dopo 3-4 giorni, la maggior parte dei pazienti migliora e i sintomi scompaiono, con progressione verso la convalescenza. In circa il 15% dei casi invece, dopo una breve fase di miglioramento, entro 24 ore dalla remissione iniziale, compaiono o si accentuano le manifestazioni emorragiche, la malattia entra in una fase tossica, ricompare la febbre e sanguinamento dal naso, dalle gengive, dagli occhi, dall’apparato gastrointestinale: presenza di sangue nelle feci o nel vomito (il cosiddetto “vomito negro”), con segni di insufficienza epatica (ittero grave) e renale (blocco renale con ritenzione idrica). Circa il 50% dei pazienti che entra nella fase tossica muore entro 10-14 giorni, gli altri si riprendono senza danni organici significativi.

Trattamento e prevenzione. Non esiste un trattamento specifico per la febbre gialla, solo terapia di supporto per la disidratazione, l’insufficienza respiratoria e la febbre. Le infezioni batteriche associate possono essere curate con antibiotici. La terapia di supporto può migliorare l’evoluzione della malattia nelle forme più gravi, ma è raramente disponibile nelle aree più povere. La vaccinazione è la misura più importante per prevenire la febbre gialla. Il vaccino contro la febbre gialla è a base di virus viventi attenuati, è sicuro e conveniente, fornisce un’immunità efficace entro 10 giorni per oltre il 90% delle persone vaccinate. Una singola dose di vaccino è sufficiente a conferire immunità e efficacia protettiva per tutta la vita contro la febbre gialla e non è necessario effettuare un richiamo. Al fine di proteggere le persone che vivono in aree ad alto rischio di trasmissione di febbre gialla, la duplice strategia dell’OMS per la prevenzione delle epidemie di febbre gialla si basa su campagne di vaccinazione di massa preventive seguite da vaccinazioni di routine nei bambini.

Gastroenterite da rotavirus

Descrizione. La gastroenterite da rotavirus è una malattia diffusa in tutto il mondo. In Europa e nel resto delle zone temperate del pianeta, il virus si presenta con picchi di incidenza stagionale che, alle nostre latitudini, si verificano nel periodo invernale tra novembre e marzo. Nei Paesi tropicali si possono verificare picchi di incidenza, ma il virus è presente sostanzialmente tutto l’anno.Il rotavirus è la causa più comune di gastroenteriti virali fra i neonati e i bambini sotto i 5 anni. In particolare, nei bambini molto piccoli il virus può causare una diarrea grave con disidratazione. La maggior parte delle infezioni è causata dai ceppi del gruppo A (in misura assai minore da quelli del gruppo B e C). L’aver contratto il virus una volta non dà immunità sufficiente, anche se le infezioni che si contraggono negli anni successivi e in età adulta tendono a presentarsi in forma più leggera. Nel 2013, si stima che a causa del rotavirus in tutto il mondo siano morti 200 mila bambini. Attualmente muoiono 500-600 bambini al giorno che l’Oms considera una vera e propria emergenza sanitaria.

Trasmissione. Il virus si trasmette per via oro-fecale. L’eliminazione del virus in molti bambini può durare fino a dieci giorni (in alcuni casi fino a due mesi) dopo l’insorgenza dell’infezione. Poiché il virus è stabilmente presente nell’ambiente, in qualche caso la diffusione può verificarsi da persona a persona tramite le mani o il contatto con superfici contaminate, specie in comunità affollate (come asili nidi, case di riposo, ecc.). Nei luoghi di ristorazione, come le mense, può essere provocata da un operatore infetto che maneggia alimenti che non richiedono cottura, come frutta e verdura. Nel nostro Paese, il virus infetta soprattutto nel periodo invernale, tra novembre e marzo. L’aver già contratto l’infezione una volta non è sufficiente per dare un’immunità duratura; infezioni successive, tuttavia, tanto nell’infanzia quanto nell’età adulta, possono dare sintomi più leggeri.

Sintomi e complicanze. Nei bambini piccoli, la GE da rotavirus può provocare una grave forma di diarrea associata a disidratazione per cui risulta necessario il ricovero ospedaliero. Dopo circa due giorni di incubazione dall’ingresso del virus nell’organismo, sorgono i seguenti sintomi: febbre lieve-moderata (37,9°C o più grande), disturbi allo stomaco, vomito e diarrea acquosa. La malattia dura in media 3-8 giorni e nei neonati può generare una grave forma di disidratazione che, senza un adeguato trattamento medico di supporto, può progredire rapidamente ed essere fatale.

Trattamento e prevenzione. In generale, per prevenire la diffusione delle malattie diarroiche è fondamentale mantenere buone condizioni igieniche sia a casa che negli asili nido e in tutti gli ambienti collettivi dove vivono persone soggette a maggior rischio, come gli anziani o gli immunodepressi. Lavarsi le mani con il sapone o con altri detergenti non uccide il virus, ma può limitarne la diffusione. In caso di disidratazione può essere necessario il ricovero in ospedale per la somministrazione di fluidi per via endovenosa, ma di solito il trattamento è aspecifico e consiste nella reidratazione per via orale per compensare la perdita di liquidi. È proprio la difficoltà di reidratare con abbondanti quantità di acqua sicura e pulita il principale rischio per la vita di molti bambini nei Paesi a basso reddito. Poiché non esiste una terapia antivirale per l’infezione da rotavirus (e, ovviamente, trattandosi di virus, gli antibiotici non servono), il vaccino rimane l’unico vero metodo preventivo attualmente a disposizione; sono infatti gli anticorpi, la cui produzione viene stimolata dal vaccino, il principale meccanismo di protezione contro l’infezione virale. La vaccinazione diventa quindi una strategia importante per combattere l’infezione.

Herpes Zoster

Descrizione. L’Herpes zoster è una patologia frequente nel soggetto anziano e in chi è affetto da co-morbosità di varia natura, ed è legato alla riattivazione del Virus Varicella Zoster (VZV) rimasto latente nei gangli nervosi sensoriali dopo una pregressa varicella. Dati italiani indicano come l’incidenza della patologia sia molto elevata, circa 6,3 per 1.000 anni / persona nei soggetti >50 anni immunocompetenti. L’incidenza aumenta in modo esponenziale con l’età e con la presenza di patologie croniche intercorrenti. Nel complesso, si stima che nella popolazione italiana si verifichino ogni anno oltre 216.000 casi di Herpes zoster, di cui oltre 157.000 negli ultra-cinquantenni. La patologia è causa di rilevanti danni sanitari e sociali, specialmente correlati alla Nevralgia Post-Erpetica (Post-Herpetic Neuralgia o PHN), sindrome dolorosa cronica altamente invalidante della durata di alcuni mesi e a volte anche di anni, che colpisce dall’8 al 20% di coloro che sono affetti da Herpes zoster. Nella migliore delle ipotesi, si può calcolare che ogni anno in Italia si verifichino almeno 17.000 casi di Nevralgia Post-Erpetica. La gravità di tale complicanza può essere compresa da alcuni semplici dati: il dolore è spesso insopportabile, descritto come peggiore del dolore da parto e del dolore oncologico; può durare anche anni; è spesso incoercibile anche con i più forti anti-dolorifici e richiede non raramente l’uso di psicofarmaci; in alcuni casi ha portato i pazienti affetti al suicidio.

Sintomi e complicanze. I sintomi più frequenti sono localizzati a livello toracico solitamente limitati ad un lato del corpo, a fascia (da qui il nome “Zoster”, che in greco significa,infatti, “cintura”).  Il rash è eritematoso con lesioni maculo-papulari che diventano successivamente vescicolari. Nuove lesioni possono continuare ad apparire sino a 7 giorni, dopodiché si formano le croste che spariscono in 2-3 settimane. Il dolore tipicamente precede il rash vescicolare di 3-5 giorni ed in alcuni casi di alcune settimane (nevralgia prodromica). La forma che coinvolge la branca oftalmica del nervo trigemino, spesso definito come HZ oftalmico, rappresenta il 10-20% dei casi di HZ (localizzazione più frequente con l’aumentare dell’età). Quasi la metà di questi presenta successivamente complicanze oculari, come ad esempio, la cheratite neurotrofica. La complicanza più frequente dell’HZ è la nevralgia post-erpetica, caratterizzata da dolore lungo le terminazioni nervose cutanee che può manifestarsi con uno o più accessi dolorosi o parossistici, brucianti o lancinanti, ad insorgenza spontanea, associati ad alterazioni della sensibilità ai diversi stimoli sensitivi e dolorifici (definiti parestesie, disestesie, allodinia ed iperalgesia).

Trattamento e prevenzione. La gestione clinico-terapeutica dell’HZ è complessa e spesso insoddisfacente. Nella fase acuta i farmaci antivirali costituiscono il trattamento primario e vengono utilizzati allo scopo di alleviare il dolore durante la fase acuta e limitare la diffusione e la durata delle lesioni dermatologiche, la frequenza e la gravità delle complicanze. Devono essere somministrati entro 72 ore dalla comparsa dell’eruzione cutanea e la terapia è generalmente protratta per 7 giorni. Per la gestione del dolore acuto vengono utilizzati anche i corticosteroidi orali, i FANS, gli oppioidi, gli antidepressivi triciclici e gli anticonvulsivanti, con efficacia variabile. La vaccinazione anti HZ rappresenta una valida soluzione efficace per prevenire l’insorgenza della patologia.

HPV - Human Papilloma Virus

Descrizione. L’infezione da papillomavirus (HPV – Human Papilloma Virus) è in assoluto la più frequente infezione sessualmente trasmessa; l’assenza di sintomi ne favorisce la diffusione poiché la maggior parte degli individui affetti non è a conoscenza del processo infettivo in corso. Esistono circa 100 tipi di papillomavirus differenziati in base al genoma. Alcuni sono responsabili di lesioni benigne come i condilomi (specie tipo 6 e 11), altri sono in grado di produrre lesioni pre-invasive (displasie) ed invasive, cioè il tumore della cervice uterina (specie tipo 16 e 18). L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha confermato l’evidenza oncogena per 12 tipi di Hpv. Alcuni tipi hanno una tendenza a progredire in cervicocarcinoma maggiore di altri. Si stima, infatti, che Hpv 16 e Hpv 18 siano responsabili di oltre il 70% dei casi di questo tumore. Includendo anche i tipi di Hpv 45, 31, 33, 52, 58 e 35 sono coperti quasi il 90% dei tumori della cervice. I tipi di Hpv a basso rischio sono associati a lesione benigne come i condilomi genitali.

Trasmissione. Il virus Hpv si trasmette per via sessuale, attraverso il contatto con cute o mucose. I microtraumi che avvengono durante i rapporti sessuali potrebbero favorire la trasmissione. La trasmissione attraverso contatti genitali non penetrativi è possibile, pertanto l’uso del preservativo, sebbene riduca il rischio di infezione, non lo elimina totalmente dal momento che il virus può infettare anche la cute non protetta dal profilattico. Numerosi studi concordano nel ritenere la giovane età, il numero dei partner sessuali e la giovane età al momento del primo rapporto sessuale, i fattori di rischio più rilevanti per l’acquisizione dell’infezione da Hpv.

Sintomi e complicanze. La maggior parte delle infezioni da Hpv è transitoria, perché il virus viene eliminato dal sistema immunitario prima di sviluppare un effetto patogeno. Il 60-90% delle infezioni da Hpv, incluse quelle da tipi oncogeni, si risolve spontaneamente entro 1-2 anni dal contagio. La persistenza dell’infezione virale è invece la condizione necessaria per l’evoluzione verso il carcinoma. In questo caso, si possono sviluppare lesioni precancerose che possono progredire fino al cancro della cervice. In caso di infezione persistente, il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è di circa 5 anni, mentre la latenza per l’insorgenza del carcinoma cervicale può essere di decenni (20-40 anni). L’HPV può dar luogo ad altre manifestazioni cliniche, come le verruche, che oltre a livello della cervice uterina, della vagina, della vulva, dell’uretra, del perineo e dell’ano, possono evidenziarsi anche in sedi extragenitali, come a livello della congiuntiva, del naso, della bocca, della laringe. Spesso presentano dimensioni così piccole da renderne difficile l’identificazione ad occhio nudo. Si deve però precisare che i ceppi responsabili delle verruche genitali non sono gli stessi implicati nell’insorgenza del tumore della cervice uterina; di conseguenza una persona colpita da condilomi acuminati, non presenta necessariamente un rischio aumentato di neoplasie ano-genitali.

Trattamento e prevenzione. Non esistono attualmente farmaci per curare l’infezione da HPV. Per fortuna, nella maggior parte dei casi, l’infezione si risolve spontaneamente o è eliminata dall’organismo prima che causi problemi. Tuttavia se l’infezione persiste, il trattamento disponibile riguarda solo le cellule anomale che si formano in conseguenza di essa. Per il trattamento dei condilomi e delle verruche genitali, si effettua, in genere, un’applicazione di soluzioni chimiche, stimolanti le difese dell’organismo, che tendono a distruggere le lesioni. Usato anche il trattamento laser. Le cellule precancerose della cervice possono essere rimosse mediante procedure chirurgiche o laserterapia, a seconda dell’estensione della lesione. a carta vincente per la battaglia contro il cancro della cervice uterina è la prevenzione. E’ possibile identificare precocemente una lesione genitale “pericolosa” sottoponendosi regolarmente ad un Pap-test o esame citologico cervico-vaginale, un prelievo di cellule dalla superficie del collo e dal canale cervicale dell’utero. Il ruolo eziologico dell’Hpv nell’insorgenza dei tumori cervicali ha aperto la strada alla prevenzione primaria attraverso la vaccinazione, che è in grado di prevenire le infezioni HPV correlate sia nell’uomo che nella donna.

Influenza

Descrizione. L’influenza è una malattia respiratoria provocata da virus influenzali che infettano le vie aeree: naso, gola, polmoni. L’influenza è una malattia respiratoria che può manifestarsi in forme di diversa gravità che in alcuni casi, possono comportare il ricovero in ospedale e anche la morte. Alcune fasce di popolazione, come i bambini piccoli e gli anziani, possono essere maggiormente a rischio di gravi complicanze influenzali come polmonite virale, polmonite batterica secondaria e peggioramento delle condizioni mediche sottostanti. Esistono due tipi principali di virus dell’influenza: A e B. I virus dell’influenza A sono classificati in sottotipi basati su due proteine di superficie: emoagglutinina (HA) e neuraminidasi (NA). Due sottotipi di HA (H1 e H3) e due sottotipi di NA (N1 e N2) sono riconosciuti tra i virus dell’influenza A come causa di malattia umana diffusa nel corso degli ultimi decenni. L’immunità alle proteine HA e NA riduce la probabilità di infezione e, insieme all’immunità alle proteine virali interne, riduce la gravità della malattia in caso di infezione. I virus dell’influenza B si sono evoluti in due lineaggi antigenicamente distinti dalla metà degli anni ’80, rappresentati dai virus B/Yamagata/16/88 e B/Victoria/2/87-like. I virus di entrambi i ceppi B/Yamagata e B/Victoria contribuiscono variabilmente alla malattia influenzale ogni anno. Nel corso del tempo, la variazione antigenica (deriva antigenica) dei ceppi si verifica all’interno di un sottotipo di influenza A o di un lineaggio B. La possibilità sempre presente di deriva antigenica, che può verificarsi in uno o più ceppi di virus dell’influenza, richiede che i vaccini antinfluenzali stagionali vengano riformulati ogni anno.

Trasmissione. L’influenza si trasmette per via aerea, attraverso le goccioline di saliva e le secrezioni respiratorie, in maniera:

  • diretta (tosse, starnuti, colloquio a distanza molto ravvicinata)
  • indiretta (dispersione delle goccioline e secrezioni su oggetti e superfici).

Sintomi e complicanze. L’influenza è contraddistinta da un repentino manifestarsi di sintomi generali e respiratori, dopo un’incubazione in genere abbastanza breve (circa 1-2 giorni) e che durano solitamente per 3-4 giorni, potendo tuttavia prolungarsi per una/due settimane: febbre in genere alta superiore ai 38°C, che si manifesta bruscamente, accompagnata da brividi, dolori ossei e muscolari, mal di testa, grave malessere generale, astenia, mialgia, mal di gola, raffreddore, tosse non catarrale e congiuntivite. Le complicanze dell’influenza vanno dalle polmoniti batteriche, alla disidratazione, al peggioramento di malattie preesistenti (quali ad esempio il diabete, malattie immunitarie o cardiovascolari e respiratorie croniche), alle sinusiti e alle otiti (queste ultime soprattutto nei bambini). Sono più frequenti nei soggetti al di sopra dei 65 anni di età e con condizioni di rischio. Alcuni studi hanno messo in evidenza un aumentato rischio di malattia grave nei bambini molto piccoli e nelle donne incinte. Tuttavia, casi gravi di influenza si possono verificare anche in persone sane che non rientrano in alcuna delle categorie sopra citate.

Trattamento e prevenzione. Una buona igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie è essenziale nel limitare la diffusione dell’influenza. Vaccinarsi è il modo migliore di prevenire e combattere l’influenza, sia perché aumenta notevolmente la probabilità di non contrarre la malattia sia perché, in caso di sviluppo di sintomi influenzali, questi sono molto meno gravi e, generalmente, non seguiti da ulteriori complicanze. Inoltre, la vaccinazione antinfluenzale rappresenta un’importante misura di protezione non solo per sé stessi ma anche per chi ci sta intorno, riduce la probabilità di complicanze e riduce il carico dell’assistenza sanitaria (pronto soccorso, ambulatori medici), nei periodi di maggiore affluenza. Il vaccino antinfluenzale è indicato per la protezione di tutti i soggetti che non abbiamo specifiche controindicazioni alla sua somministrazione.

Malattia da meningococco

Descrizione. L’agente responsabile è un batterio denominato Neisseria Meningitidis detto anche Meningococco. Sono attualmente noti tredici tipi (sierotipi) di Meningococco, ma solo cinque (A, B, C, Y, W135) sono rilevanti dal punto di vista clinico e capaci di provocare malattia ed epidemie. Esistono 13 diversi sierogruppi di meningococco, ma solo sei causano meningite e altre malattie gravi: più frequentemente A, B, C, Y e W135 e molto più raramente, in Africa, X. La maggioranza (95%) dei casi di IMD mondiali sono causati dai gruppi capsulari A, B, C, W and Y. In Italia e in Europa, i sierogruppi B e C sono i più frequentemente causa di malattia invasiva, sebbene anche i casi da attribuire ai tipi Y e W135 siano in aumento.

Trasmissione. La trasmissione avviene attraverso goccioline nasali e faringee di persone infette o portatori. Il periodo di incubazione è in media di 3-4 giorni. La malattia si trasmette da persona a persona per via respiratoria, attraverso le goccioline di saliva e le secrezioni nasali, che possono essere disperse con la tosse, con gli starnuti o mentre si parla. Affinché il contagio avvenga è, però, necessario essere a contatto stretto e prolungato con la persona infetta o trovarsi in ambienti molto affollati. Infatti, la propagazione dell’agente patogeno generalmente non supera il raggio di due metri dalla fonte.

Sintomi e complicanze. Le IMD sono difficili da diagnosticare precocemente e progrediscono rapidamente da sintomi aspecifici portando a conseguenze gravi e che pongono a rischio di morte in 15–24 ore. La meningite è la presentazione più comune di malattia invasiva da meningococco. I sintomi di meningite sono comparsa improvvisa di febbre, mal di testa, e rigidità del collo, spesso accompagnata da altri sintomi, quali nausea, vomito, fotofobia (sensibilità dell’occhio alla luce), e stato mentale alterato. Sepsi meningococcica (setticemia o meningite da meningococchi) avviene senza meningite nel 5%-20% delle infezioni invasive da meningococco. Questa condizione è caratterizzata da insorgenza improvvisa di febbre e rash, spesso associata a ipotensione, shock, insufficienza multi-organo. Presentazioni meno comuni di malattia meningococcica includono polmonite (dal 5% al 15% dei casi), artrite (2%), otite media (1%), e epiglottite (meno dell’1%).

Trattamento e prevenzione. In caso di meningite da meningococco i contatti stretti del malato hanno un maggior rischio di ammalarsi rispetto alla popolazione generale. Per questo è indicata la loro profilassi antibiotica. Sul fronte della lotta al meningococco, dato il decorso rapido della malattia e potenzialmente letale,  è fondamentale la prevenzione vaccinale: sono attualmente disponibili vaccini coniugati polisaccaridici contro i sierogruppi A, C, Y e W e il vaccino coniugato contro il sierogruppo C. Sono inoltre attualmente disponibili formulazioni vaccinali per prevenire le forme invasive da meningococco di sierogruppo B.

malattie infettive

Malattie invasive da Haemophilus B

Descrizione. L’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib) è un batterio che causa infezioni spesso severe, soprattutto tra i bambini di età inferiore ai 5 anni. Abitualmente, l’Hib dà una malattia simil-influenzale, che si risolve nel giro di qualche giorno. In alcuni casi, invece, l’infezione può evolvere in forme gravi dette forme invasive. L’Haemophilus influenzae (Hi) è un bacillo gram negativo di cui l’uomo è l’unico ospite. La presenza di una capsula polisaccaridica consente di suddividere i ceppi di Hi in non capsulati (anche noti come non tipizzabili) e capsulati, questi ultimi classificati a loro volta in 6 sierotipi (a-f). I ceppi non capsulati sono ospiti abituali delle prime vie respiratorie e causano raramente malattie invasive, che sono sostenute invece prevalentemente da Hi di tipo b (Hib). In epoca pre-vaccinale, le infezioni invasive da Hib colpivano soprattutto i bambini fino a 5 anni d’età, e la meningite era il quadro clinico più frequente nei Paesi industrializzati (60% circa dei casi). Con l’introduzione della vaccinazione contro il sierotipo “b” (Hib) i casi di meningite e di sepsi, causati da questo batterio, si sono ridotti moltissimo.

Trasmissione. La trasmissione avviene attraverso contatto diretto, con inalazione di goccioline emesse con le secrezioni naso-faringee da parte di malati e/o portatori; dall’introduzione del vaccino, è diventato raro lo stato di portatore. La contagiosità dell’Hib è limitata in caso di comunità (asili, scuole), dove si possono verificare piccole epidemie.

Sintomi e complicanze. Le malattie invasive causate da Hib possono interessare diversi organi. I tipi più comuni di malattia invasiva sono la meningite, l’epiglottite, la polmonite, l’artrite, e la cellulite. L’osteomielite (infezione ossea) e la pericardite (infezione del sacco che copre il cuore) sono forme meno comuni di malattia invasiva.

Trattamento e prevenzione. Al di là della terapia antibiotica in termini di trattamento, c’è da precisare che nel nostro Paese, dall’introduzione del vaccino anti-Hib nel 1995, vi è stata una progressiva diminuzione dei casi di malattia da Hib, passando da 63 casi notificati nel 1998 a 5 casi notificati nel 2003. L’incidenza è passata da 5,5/100.00 casi all’anno a 0,6/100.000 casi. Questi importanti risultati sono da attribuire alla elevata copertura vaccinale presente nel nostro Paese. In Italia, nel 2012 è stato segnalato un solo caso di malattia invasiva seguito da decesso.

Morbillo

Descrizione. E’ una malattia infettiva causata da un virus a RNA del genere Morbillivirus, della famiglia dei Paramyxovirus, che si localizza in vari organi e tessuti. La recettività (possibilità di essere infettati da un agente patogeno) è universale e il morbillo è una delle malattie più contagiose che si conoscano. Il morbillo è una malattia endemo-epidemica, vale a dire che è sempre presente nelle collettività, presentando picchi epidemici ogni 3-4 anni, legati al fatto che i nuovi nati vengono a formare gradualmente una massa cospicua di soggetti suscettibili all’infezione.

Trasmissione. Il morbillo è una malattia molto contagiosa; si trasmette per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con tosse, starnuti o semplicemente parlando. Il periodo di contagiosità va da poco prima del periodo prodromico a 4 giorni dopo la comparsa dell’esantema.

Sintomi e complicanze. Dopo un periodo di incubazione che può variare da un minimo di 7 ad un massimo di 18 giorni (solitamente circa 10 giorni), si ha la comparsa di febbre, raffreddore, tosse secca, congiuntivite, chiazze rossastre sulla mucosa della bocca e della faringe e macchioline bianche sulle gengive, all’altezza dei molari (macchie di Koplik). Questo periodo dura 4-5 giorni, al termine del quale compare un’eruzione cutanea maculo-papulosa che dal collo e dal capo si estende a tutto il corpo (esantema discendente).
L’inizio dell’esantema è solitamente accompagnato da un innalzamento della febbre che diminuisce poi piuttosto rapidamente. L’esantema persiste per 5-6 giorni e, così come è iniziato, scompare a cominciare dal collo. Le complicanze più frequenti del morbillo sono rappresentate dalle otiti dell’orecchio medio, dalle polmoniti e broncopolmoniti (5-6% dei bambini), dalle laringiti e laringotracheiti, dalla diarrea. La complicanza più grave è l’encefalite/encefalomielite, un’infiammazione a carico del cervello e del midollo spinale) che si presenta in circa 1 caso su 1.000. La mortalità dell’encefalite morbillosa è superiore al 10% e si stima che il 20-40% delle persone sopravvissute ad una encefalite morbillosa subiscano conseguenze permanenti a livello neurologico. Una complicanza del morbillo, rarissima, ma dagli effetti devastanti, è la panencefalite sclerosante subacuta (PESS). Si tratta di una encefalite a lenta evoluzione, che può manifestarsi in un caso su 100.000 a distanza di molti anni dall’infezione con virus morbilloso, per lo più in persone che hanno avuto il morbillo nei primi due anni di vita. Il morbillo contratto in gravidanza è associato ad un maggior rischio di complicanze (in particolare polmonite) e mortalità materne rispetto all’atteso. Alcuni studi hanno, inoltre, riscontrato un rischio aumentato di aborto spontaneo, morte intrauterina, parto pretermine; tale rischio sembra essere più elevato in caso di infezione nel primo e secondo trimestre di gravidanza. L’infezione in prossimità del parto può aumentare il rischio di morbillo neonatale, condizione gravata da una significativa mortalità.

Trattamento e prevenzione. Non esiste una terapia specifica per il morbillo. Possono essere impiegati rimedi ad azione sintomatica per la febbre e la tosse su consiglio del medico. Il morbillo può essere prevenuto con il vaccino specifico. Il vaccino fa parte dell’immunizzazione morbillo-parotite-rosolia (MPR). Nel bambino il calendario vaccinale raccomanda la prima dose a 13-15 mesi, la seconda a 5-6 anni. Per gli adolescenti e gli adulti che non sono mai stati vaccinati, sono previste due dosi a distanza di almeno 4 settimane. E’ inoltre importante verificare lo stato immunitario della donna nei confronti del morbillo in previsione di una gravidanza. In assenza di immunizzazione verso questa malattia, è opportuno proporre attivamente la vaccinazione con un intervallo di un mese tra le dosi. Occorre tener presente che i vaccini contro MPR, contenendo vaccini a virus vivi attenuati, non possono essere somministrati in gravidanza.

Parotite

Descrizione. La parotite è una malattia infettiva, contagiosa, causata da un virus a RNA appartenente al genere Rubulavirus della famiglia Paramyxovirus, che si localizza a livello delle prime vie aeree (faringe, laringe e trachea) e delle ghiandole salivari. mLa parotite è conosciuta fin dall’antichità, anche con il nome popolare di “orecchioni” (perché le orecchie appaiono più grandi essendo ruotate in avanti) o di “gattoni” (per la somiglianza ad un gatto della faccia così deformata), a causa del gonfiore delle ghiandole salivari (più spesso le parotidi, ma a volte anche le sottomascellari) ed è sempre stata considerata una malattia dell’infanzia.

Trasmissione. La parotite si trasmette essenzialmente per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando. Il virus viene eliminato anche con le urine e, passando attraverso la placenta, può infettare il prodotto del concepimento, senza però che sia stata dimostrata una sua responsabilità nell’induzione di malformazioni congenite. Il periodo di contagiosità, in cui la malattia può essere trasmessa dalle persone infette (con o senza sintomi manifesti) va da 6-7 giorni prima a 9 giorni dopo la comparsa della tumefazione delle ghiandole salivari; l’infettività è massima nelle 48 ore che precedono tale comparsa.

Sintomi e complicanze. Dopo un periodo di incubazione che può variare da un minimo di 12 ad un massimo di 25 giorni (solitamente 16-18 giorni), si ha comparsa di febbre, mal di testa, dolori muscolari, perdita dell’appetito, con gonfiore di una o più ghiandole salivari. Nella maggior parte dei casi vengono colpite una o entrambe le ghiandole (parotidi) poste ai lati delle orecchie, ma la tumefazione può riguardare anche le ghiandole sottolinguali e le sottomandibolari.

Trattamento e prevenzione. Anche nel caso di forme complicate, la somministrazione di farmaci e l’eventuale ricorso alla nutrizione per via endovenosa, devono essere decisi dal medico. La terapia è sintomatica e consiste nella somministrazione di analgesici, per il trattamento del dolore causato dall’infiammazione, e di antipiretici per controllare la febbre. Una dieta semiliquida può aiutare ad alleviare il dolore associato alla masticazione. Oltre al rispetto delle buone norme igieniche, l’arma migliore contro la malattia è la vaccinazione. Il vaccino contiene virus vivi attenuati, cioè modificati in modo da renderli innocui, ma capaci di stimolare le difese naturali dell’organismo. Secondo il calendario vaccinale italiano, nei bambini la prima dose viene effettuata a partire dai 12 mesi compiuti e comunque entro i 15 mesi d’età. La seconda viene attualmente eseguita a 5-6 anni.

Pertosse

Descrizione. La pertosse è una malattia infettiva, molto contagiosa, causata da un batterio, la Bordetella pertussis, che si localizza preferibilmente nelle cellule di rivestimento dell’apparato respiratorio, determinando una tosse violenta. La malattia colpisce tutte le età, ma interessa prevalentemente i bambini di età inferiore ai 5 anni; i lattanti con meno di 6 mesi sono più a rischio di contrarre una forma severa della malattia. A differenza delle altre malattie infantili, l’immunità conferita da una prima infezione non è definitiva, ma declina col tempo.

Trasmissione. La trasmissione dell’infezione avviene da malato a sano, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando. La pertosse è una malattia molto contagiosa: un malato di pertosse può contagiare fino al 90% delle persone suscettibili all’infezione con cui viene a contatto. Il contagio può avvenire a partire dalle prime fasi della malattia fino a 3 settimane o più dall’insorgenza dei tipici attacchi di tosse. Non esistono portatori sani di pertosse. La protezione acquisita tramite l’infezione o la vaccinazione diminuisce lentamente con il passare degli anni, pertanto chi ha contratto la pertosse o è stato vaccinato solo da bambino potrebbe riammalarsi durante l’adolescenza o l’età adulta. Proprio gli adolescenti e gli adulti in questa condizione sono i principali responsabili della trasmissione della malattia ai lattanti non ancora vaccinati o parzialmente vaccinati.

Sintomi e complicanze. La pertosse ha un periodo di incubazione di 7-10 giorni (media di 4-21 giorni). La forma non complicata della malattia dura solitamente 6-10 settimane (media di 7 settimane) e presenta sintomi diversi nei diversi stadi che la caratterizzano. La pertosse è una malattia molto pericolosa nei bambini con meno di un anno e ancor di più in quelli con meno di 6 mesi di vita: spesso questi vanno incontro a complicanze anche gravi che possono provocare danni invalidanti e permanenti. Circa la metà dei bambini con meno di 1 anno che si ammala di pertosse richiede di essere ricoverato. Nei bambini le complicanze più frequenti sono: emorragie sottocongiuntivali ed emorragie dal naso provocate dai colpi di tosse, polmoniti e broncopolmoniti, dovute alla sovrapposizione di un’infezione batterica; otiti medie, sempre causate dall’instaurarsi di una sovrainfezione batterica; crisi di apnea legate alla presenza del muco denso nelle vie aeree e durante gli accessi di tosse; convulsioni ed encefalopatia.

Trattamento e prevenzione. La terapia è quella antibiotica; se iniziata precocemente nella fase catarrale, può attenuare sensibilmente la sintomatologia della pertosse; gli attacchi possono però presentarsi lo stesso, soprattutto se l’inizio della terapia è stato tardivo. La vaccinazione antipertossica rappresenta il metodo di prevenzione in assoluto. Per i bambini nel primo anno di vita (ciclo di base), il vaccino anti-pertosse, secondo il calendario vaccinale, è incluso nel vaccino esavalente (contro difterite, tetano, pertosse acellulare, epatite B, Haemophilus influenzae tipo b, polio). Per i successivi richiami (a 5-6 anni e a 11-18 anni) sono disponibili preparazioni combinate (vaccino trivalente contro difterite, tetano e pertosse, o vaccino tetravalente contro difterite, tetano, pertosse e polio). Per conservare l’immunità sono opportuni ulteriori richiami ogni 10 anni, preferibilmente con il vaccino trivalente tetano, difterite, pertosse acellulare (dTpa). Per prevenire i casi di pertosse nel neonato e lattante non ancora vaccinato o che non ha completato il ciclo di base, è molto importante la vaccinazione della gestante nel terzo trimestre di ogni gravidanza (idealmente alle 28ma settimana.

Pneumococco

Descrizioni. Lo Pneumococco o Streptococcus pneumoniae è un batterio molto diffuso, responsabile di infezioni anche gravi soprattutto nei bambini con meno di 1 anno, negli adulti con più di 65 anni di età e in chi è affetto da determinate malattie o condizioni.

Trasmissione. Lo Pneumococco circola con facilità da soggetto a soggetto: la trasmissione avviene attraverso l’aria tramite le goccioline di saliva emesse con starnuti, tosse o semplicemente parlando o per contatto diretto con materiale contaminato da saliva infetta.

Sintomi e complicanze. Quando l’infezione diventa manifesta determina l’insorgenza di quadri di otite, sinusite o congiuntivite. Nel caso in cui i germi si riproducano nel sangue o in altri distretti del corpo dove normalmente non sono presenti, possono dare vita a delle forme gravi di malattia, dette malattie batteriche invasive. Queste sono: batteriemia, polmonite, meningite, osteomielite. Queste gravi forme di infezione possono progredire fino alla sepsi, una condizione ad elevatissima mortalità che è caratterizzata dalla invasione disseminata dei batteri nel sangue e che può portare alla compromissione di molti organi fino allo shock settico.

Trattamento e prevenzione. E’ indicata la profilassi antibiotica per chi è stato in contatto con un caso, perché non si verifichino di norma focolai epidemici. Nonostante la sua severità l’infezione pneumococcica può essere prevenuta con la vaccinazione. Le infezioni invasive sono anche la causa più frequente di ricovero ospedaliero nei bambini e negli adulti. Uno studio ha analizzato i dati provenienti da diversi Paesi europei ed ha evidenziato che l’inserimento del vaccino nei programmi vaccinali ha prodotto nei bambini sotto ai 5 anni di età una riduzione del 55% delle infezioni gravi da Pneumococco.

Poliomielite

Descrizione. La poliomielite è una grave malattia infettiva a carico del sistema nervoso centrale che colpisce soprattutto i neuroni motori del midollo spinale. Descritta per la prima volta da Michael Underwood, medico britannico, nel 1789, la poliomielite è stata registrata per la prima volta in forma epidemica nell’Europa di inizio XIX secolo e poco dopo negli Stati Uniti. La diffusione della polio ha raggiunto un picco negli Stati Uniti nel 1952 con oltre 21mila casi registrati. In Italia, nel 1958, furono notificati oltre 8mila casi. L’ultimo caso americano risale al 1979, mentre nel nostro paese è stato notificato nel 1982.La malattia è causata da tre tipi di polio-virus (1,2 e 3), appartenente al genere enterovirus, che invade il sistema nervoso nel giro di poche ore, distruggendo le cellule neurali colpite e causando una paralisi che può diventare, nei casi più gravi, totale. In generale, la polio ha effetti più devastanti sui muscoli delle gambe che su quelli della braccia. Le gambe perdono tono muscolare e diventano flaccide, una condizione nota come paralisi flaccida. In casi di infezione estesa a tutti gli arti, il malato può diventare tetraplegico. Nella forma più grave, quella bulbare, il virus paralizza i muscoli innervati dai nervi craniali, riducendo la capacità respiratoria, di ingestione e di parola. In questo caso, è necessario supportare il malato con ausili nella respirazione. Negli anni ’50, erano molto diffusi a questo scopo i polmoni d’acciaio, sostituiti oggi da strumenti assai più agili. Il 3/9/2020 il continente africano è dichiarato libero dalla Polio: la sfida continua tra Salute Globale e Copertura Sanitaria Universale.

Trasmissione. Il contagio avviene per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di acqua o cibi contaminati o tramite la saliva e le goccioline emesse con i colpi di tosse e gli starnuti da soggetti ammalati o portatori sani. Il poliovirus si moltiplica nella mucosa oro-faringea, nell’intestino e nei tessuti linfatici sottostanti e può diffondersi anche attraverso le feci, ben prima che i sintomi della malattia siano evidenti. L’uomo rappresenta l’unico serbatoio naturale del virus della poliomielite, che può colpire persone di tutte le età ma principalmente si manifesta nei bambini sotto i tre anni.

Sintomi e complicanze. Sintomi iniziali della malattia sono febbre, stanchezza, vomito, irrigidimento del collo e dolori agli arti. Una minima parte delle infezioni, circa una su duecento secondo i dati Oms, porta a una paralisi irreversibile, mentre il 5-10% dei malati muore a causa della paralisi dei muscoli dell’apparato respiratorio. La paralisi è la manifestazione più evidente della malattia, ma solo l’1% dei malati presenta questo sintomo, mentre nel 90% dei casi. E’ importante sottolineare che la paralisi flaccida acuta (AFP) generata dal poliovirus è simile nei sintomi e nelle manifestazioni ad altre malattie come la sindrome di Guillain-Barré, la mielite trasversa, la poliradiculoneurite, la neurite traumatica e quella neoplastica. Solo l’isolamento e la tipizzazione dell’agente patogeno consentono di valutare l’effettiva incidenza della polio rispetto all’insieme delle AFP. A tal fine è stato avviato dall’Oms un sistema di sorveglianza mondiale. In Italia, presso l’Istituto superiore di sanità, è attivo il progetto italiano di sorveglianza delle paralisi flaccide acute, che permette un monitoraggio accurato anno per anno dei casi di paralisi.

Trattamento e prevenzione. Non esistono cure per la poliomielite, l’unica strada per evitare potenziali conseguenze è la prevenzione tramite vaccinazione. Esistono due tipi di vaccini diversi: quello “inattivato” di Salk (IPV), da somministrare con iniezione intramuscolo, e quello “vivo attenuato” di Sabin (OPV), da somministrare per via orale. Il vaccino di Sabin, somministrato fino ad anni recenti anche in Italia, ha permesso di eradicare la poliomielite in Europa ed è raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità nella sua campagna di eradicazione della malattia a livello mondiale.  In Italia, per decisione della Conferenza Stato Regioni nel 2002, dopo l’eradicazione completa della polio in Europa, l’unica forma di vaccino somministrato è quello inattivato. Presso il Ministero della salute viene mantenuta una scorta di vaccino orale attivo come misura precauzionale, in caso di emergenza e di importazione del virus. La vaccinazione antipolio, secondo il calendario vaccinale, prevede la somministrazione di 3 dosi nel primo anno di vita, (al 3°, 5° e 11° mese), seguite da 2 richiami al 6° e dopo il 12° anno di vita.

Rabbia

Descrizione. Si tratta probabilmente della malattia più antica di cui si ha notizia. La parola “rabbia” deriva dal sanscrito “rabbahs”, che significa “fare violenza”. La rabbia è una zoonosi, causata da un virus appartenente alla famiglia dei rabdovirus, genere Lyssavirus. Colpisce animali selvatici e domestici e si può trasmettere all’uomo e ad altri animali attraverso il contatto con saliva di animali malati, quindi attraverso morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre. Il cane, per il ciclo urbano, e la volpe, per il ciclo silvestre, sono attualmente gli animali maggiormente interessati sotto il profilo epidemiologico.

Trasmissione. La trasmissione avviene a seguito di contatto con la saliva di animali infetti sia domestici che selvatici, quindi tramite morsi, ferite, graffi, lambitura di cute non integra e di mucose. Esistono sporadici casi collegati ad altre vie di trasmissione, quali il trapianto d’organo. La trasmissione aerea del virus è limitata a situazioni molto particolari, di elevata concentrazione di virus in aerosol, come potrebbe verificarsi in laboratorio e in grotte con popolazioni di pipistrelli infetti. Rari casi di infezione nell’uomo per via alimentare sono stati segnalati recentemente nel Sud Est Asiatico. Le modalità di infezione sono tuttavia ancora da definire. La malattia ha un periodo d’incubazione che può variare da alcuni giorni fino ad anni. Mediamente, però, la sintomatologia si manifesta in un intervallo di tempo che va da 3 a 8 settimane, in dipendenza dalla carica virale al momento dell’infezione, dalla localizzazione e dalla severità della lesione cutanea.

Sintomi e complicanze. Il decorso clinico dell’encefalite rabida è caratterizzato da due possibili forme che hanno sempre in comune una prima fase caratterizzata da sintomi generici e poco specifici che coinvolgono il sistema respiratorio, gastrointestinale e il sistema nervoso centrale. Successivamente la malattia può evolvere in due forme a decorso acuto. La forma furiosa (75 % dei casi) caratterizzata da disturbi psicomotori eccitativi nei quali spiccano la perdita del senso dell’orientamento, vagabondaggio, accessi di iperattività talora a carattere furioso. Negli animali si possono avere alterazioni della fonesi e perdita di saliva, sintomo strettamente correlato alla potenziale diffusione del contagio. L’epilogo della malattia è caratterizzato dai segni progressivi di paralisi della muscolatura,  fino al coma e alla morte. La forma paralitica (25 % dei casi), nella quale compare la paralisi progressiva senza le manifestazioni di aggressività che caratterizzano la forma furiosa.

Trattamento e prevenzione. La prevenzione della malattia nell’uomo si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, cinovigili, guardie venatorie ecc.) e sul trattamento vaccinale post esposizione, limitato a particolari situazioni di rischio, come l’aggressione da parte di un animale sospetto. In questo caso, l’animale deve essere sottoposto ad una osservazione di 10 giorni, in modo tale da poter escludere l’esposizione al virus al momento dell’aggressione o esposizione. In caso di post-esposizione alla rabbia è importante lavare e sciacquare la ferita o il punto di contatto con acqua e sapone, detergenti o acqua naturale, seguito dalla applicazione di etanolo, tintura o soluzione acquosa di iodio. A questo punto, a seconda dei casi, si effettua la somministrazione del vaccino o di immunoglobuline anti-rabbiche.

Rosolia

Descrizione. La rosolia è una malattia infettiva acuta esantematica, causata da un virus a Rna del genere Rubivirus, della famiglia dei Togaviridae. Si manifesta con un’eruzione cutanea simile a quelle del morbillo o della scarlattina. Può essere pericolosa se contratta durante la gravidanza perché può portare ad aborto spontaneo, morte intrauterina del feto, o gravi anomalie congenite.

Trasmissione. La rosolia si trasmette per via aerea attraverso le goccioline respiratorie diffuse nell’aria dal malato, per esempio con colpi di tosse o starnuti, o il contatto diretto con le secrezioni nasofaringee. Le persone infette sono generalmente contagiose da 7 giorni prima a 7 giorni dopo la comparsa dell’esantema, ma il virus può essere presente nelle secrezioni del nasofaringe fino a 14 giorni dopo l’inizio dell’esantema. La massima contagiosità è da 1 a 5 giorni dopo l’esordio dell’esantema. Altra possibilità di trasmissione è quella verticale, se la donna contrae l’infezione durante la gravidanza o poco prima del concepimento e infetta la placenta. I neonati con la sindrome della rosolia congenita possono trasmettere l’infezione per diversi mesi, fino a un anno dopo la nascita.

Sintomi e complicanze. I sintomi tipici compaiono dopo un periodo di incubazione, che va da un minimo di 12 ad un massimo di 23 giorni (solitamente 16-18 giorni); si ha comparsa di febbre, mal di testa, dolori alle articolazioni, raffreddore e gonfiore dei linfonodi posti ai lati delle orecchie e dietro la nuca.Sul viso e sul collo compaiono macchioline leggermente sollevate, di colore roseo o rosso pallido, molto meno fitte di quelle del morbillo e senza alcuna tendenza a confluire tra loro. Questa eruzione cutanea, sotto forma di esantema, si estende successivamente al resto del corpo per scomparire nel giro di due o tre giorni. La rosolia è considerata una malattia ad evoluzione benigna, tuttavia complicazioni come artriti acute e artralgie temporanee sono frequenti, soprattutto nel caso di rosolia contratta in età adulta. Se la rosolia viene contratta da una donna durante la gravidanza, tutti gli organi e i tessuti fetali sono coinvolti e gli effetti sul prodotto del concepimento possono essere molto gravi. Il rischio di avere gravi malformazioni nel feto quando la rosolia viene contratta in gravidanza è massimo nel primo trimestre.

Trattamento e prevenzione. Non esiste una terapia farmacologica specifica per la rosolia, a parte l’uso di sintomatici per la febbre o i dolori articolari o antibiotici in caso di sovrapposizioni batteriche. La rosolia è prevenibile attraverso la vaccinazione con il vaccino vivo attenuato Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR). Sono previste due dosi del vaccino, in Italia la prima dose è somministrata a 12-15 mesi di età, la seconda a 5-6 anni. Negli adolescenti e adulti mai vaccinati sono previste due dosi a distanza di almeno 4 settimane. Le donne suscettibili dovrebbero vaccinarsi almeno un mese prima di un’eventuale gravidanza.

Tetano

Descrizione. Il tetano è una malattia infettiva acuta non contagiosa causata dal batterio Clostridium tetani, un bacillo gram-positivo che cresce solo in assenza di ossigeno (cioè è anaerobio), ed è presente in natura sia in forma vegetativa, che di spore. Il germe in forma vegetativa produce una tossina, detta tetanospasmina, che è neurotossica e causa i sintomi clinici della malattia. Il tetano provoca una paralisi che inizia da viso e collo e raggiunge gli arti passando per torace e addome. L’infezione si contrae attraverso la contaminazione di tagli o ferite con le spore del batterio. In assenza di un adeguato trattamento la malattia può essere letale nel 30-50% dei casi.

Trasmissione. Il batterio è normalmente presente nell’intestino degli animali (bovini, equini, ovini) e nell’intestino umano e viene eliminato con le feci. Le spore possono sopravvivere nell’ambiente esterno anche per anni e contaminano spesso la polvere e la terra. Possono penetrare nell’organismo umano attraverso ferite dove, in condizioni opportune, si possono trasformare nelle forme vegetative che producono la tossina. Il batterio non invade i tessuti ma la tossina raggiunge attraverso il sangue e il sistema linfatico il sistema nervoso centrale, interferendo con il rilascio di neurotrasmettitori che regolano la muscolatura, causando contrazioni e spasmi diffusi.

Sintomi e complicanze. Nella maggior parte dei casi, il periodo di incubazione varia da 3 a 21 giorni. Generalmente, più breve è il periodo di incubazione più grave è il decorso clinico. Le contrazioni muscolari di solito iniziano dal capo, e progrediscono poi verso il tronco e gli arti. Un caratteristico sintomo iniziale è il trisma, cioè la contrattura del muscolo massetere, che dà al volto del paziente un aspetto caratteristico (riso sardonico), seguito da rigidità del collo, difficoltà di deglutizione, rigidità dei muscoli addominali. Altri sintomi includono febbre, sudorazione, tachicardia. Il paziente rimane conscio e gli spasmi muscolari, provocati da stimoli anche minimi, causano dolore. Gli spasmi possono interessare le corde vocali e i muscoli respiratori, tanto da mettere in seria difficoltà la respirazione. Le contrazioni possono essere così violente da produrre anche fratture ossee. Il tetano ha un tasso di mortalità pari al 50%.

Trattamento e prevenzione. La malattia non è contagiosa, quindi l’isolamento nel paziente non è necessario. Il trattamento della forma generalizzata richiede il ricovero ospedaliero e consiste, oltre che nelle cure della ferita, nella somministrazione di siero antitetanico e soprattutto nel tentativo di sciogliere le contratture mediante miorilassanti. Poiché per il tetano non è valido il concetto dell’immunità di gregge, è molto importante la protezione individuale attraverso l’adozione di un calendario che preveda la vaccinazione esavalente per i nuovi nati, i richiami in età prescolare, in adolescenza e negli adulti ogni 10 anni

Tifo

Descrizione. La febbre tifoide, anche detta tifo addominale è provocata da una batterio, la Salmonella typhi, appartenente al numerosissimo genere Salmonella, di cui fanno parte anche le S. paratyphi A e B, responsabili dei paratifi, e le cosiddette salmonelle minori, responsabili di infezioni e tossinfezioni a trasmissione alimentare. La Salmonella typhi, infetta esclusivamente l’uomo. Paratifi e salmonelle minori infettano, invece, sia gli animali domestici che l’uomo.

Trasmissione. L’infezione è provocata dal consumo d’acqua e di alimenti contaminati. È talvolta possibile una trasmissione diretta fecale-orale. I molluschi raccolti in specchi d’acqua contaminati da scarichi fognari sono un’importante fonte di infezione. L’infezione può verificarsi anche mangiando frutta cruda e verdure fertilizzate con pozzi neri e attraverso l’ingestione di latte e prodotti caseari contaminati. Il 2-5% dei pazienti non trattati può diventare portatore cronico, cioè elimina attraverso urine e feci il batterio per un periodo superiore ai 12 mesi seguenti l’infezione. Sono proprio i portatori cronici le fonti di maggiore infezione.

Sintomi e complicanze. È una malattia sistemica di severità variabile. I segni caratteristici dei casi gravi sono rappresentati da: febbre con esordio progressivo, cefalea, stato generale compromesso, anoressia, insonnia. In assenza di trattamento alcuni pazienti sviluppano una febbre duratura, bradicardia, epatosplenomegalia, sintomi addominali, e in certi casi polmonite. I più alti tassi di fatalità sono riportati nei bambini di età inferiore ai 4 anni. Circa il 2-5% dei soggetti che contraggono la febbre tifoide diventa portatore cronico poiché i batteri persistono nelle vie biliari anche dopo la scomparsa dei sintomi.

Trattamento e prevenzione. La febbre tifoide può essere trattata con antibiotici.
Tuttavia la resistenza agli antibiotici comuni è molto diffusa. I portatori sani dovrebbero essere esclusi dalla manipolazione degli alimenti. La prevenzione della febbre tifoide può essere effettuata attraverso l’educazione all’igiene personale, in particolare il lavaggio delle mani dopo l’uso del bagno e prima del contatto col cibo, il controllo dei sistemi di fognatura e delle mosche (che possono trasportare il batterio). La vaccinazione contro la febbre tifoide può essere indicata per chi prevede un viaggio in Paesi dove la malattia è diffusa. Esistono 2 tipi di vaccino, orale ed iniettabile: entrambi sono sicuri ed efficaci.

Varicella

Descrizione. La varicella è una malattia infettiva altamente contagiosa provocata da un virus a DNA, il virus Varicella zoster (VZV), appartenente alla famiglia degli Herpesvirus. Insieme a rosolia, morbillo, pertosse e parotite, la varicella è annoverata fra le malattie contagiose dell’infanzia, che nella maggioranza dei casi colpiscono i bambini tra i 5 e i 10 anni. L’uomo è l’unico serbatoio noto di questo virus: la malattia si trasmette quindi soltanto da uomo a uomo.

Trasmissione. La varicella è una delle malattie infettive più contagiose, soprattutto nei primi stadi dell’eruzione. La trasmissione avviene per via aerea mediante le goccioline respiratorie diffuse nell’aria, quando una persona affetta tossisce o starnutisce, o tramite contatto diretto con lesione da varicella o zoster.

Sintomi e complicanze. Dopo un periodo di incubazione di 2 o 3 settimane (solitamente 13-17 giorni), la malattia esordisce con un’eruzione cutanea maculo-papulosa (rash), accompagnata da febbre, di solito di lieve entità, e malessere generale. Per 3-4 giorni le piccole papule rosa pruriginose compaiono su testa, tronco, viso e arti, a gittate successive (quadro a cielo stellato). Le papule evolvono in vescicole, in pustole e infine in croste granulari, destinate a cadere. Le complicanze più frequenti della varicella comprendono le superinfezioni batteriche, trombocitopenia, artriti, polmoniti, epatiti, meningoencefaliti.
Le manifestazioni esantematiche estese e le complicazioni della varicella sono di gran lunga più frequenti tra gli adolescenti e gli adulti e nelle persone immunocompromesse di tutte le età, rispetto a quanto si osserva nei bambini. La varicella in corso di gravidanza costituisce un importante problema per possibili gravi complicanze, sia a carico della madre che del prodotto del concepimento. Nel 10-20% dei casi la varicella è seguita a distanza di anni dall’herpes zoster (HZ), una manifestazione locale della riattivazione del virus rimasto latente nei gangli sensitivi dei nervi dorsali o nel ganglio stellato, stazioni che il virus invade nel corso dell’infezione primaria.

Trattamento e prevenzione. Generalmente la terapia della varicella è solo sintomatica. La prevenzione si attua principalmente con la vaccinazione: nel bambino il calendario vaccinale raccomanda la prima dose a 13-15 mesi, la seconda a 5-6 anni. Per gli adolescenti e gli adulti ancora suscettibili, sono previste due dosi a distanza di almeno 4 settimane. l vaccino è sicuro e ben tollerato. È consigliato soprattutto per le persone che per motivi professionali hanno un maggior rischio di acquisire l’infezione (come il personale scolastico) o trasmetterla a persone ad alto rischio di complicanze gravi (come gli operatori sanitari).
Inoltre, la vaccinazione è particolarmente indicata per le donne in età fertile, che non hanno già avuto la malattia, per evitare un’eventuale infezione al feto e possibili danni al bambino, soprattutto nei primi 6 mesi e gli ultimi 5 giorni prima del parto.

coperture vaccinali Calabria

(Fonte Salute.Gov)

documenti regionali